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I monumenti di Avellino e del territorio circostante
La Mefite
La Mefite
Un odore di uova marce preannuncia la presenza della Mefite. La strada che si percorre, anche se asfaltata, è antichissima: dalla gente del luogo viene chiamata ancora la Domizia, la Napoletanao, più modernamente, la via dei contrabbandieri, in quanto di qui passano coloro che vogliono raggiungere Napoli dalla Puglia, evitando la 303 e l'autostrada. Tra Rocca San Felice, Frigento e Villamaina, in contrada Santa Felicita, è ubicata quindi la Mefite o Mofeta della Valle di Ansanto. Ricordata da Virgilio (Eneide, libro VII, 568), che vi immaginò uno degli ingressi degli Inferi e da altri scrittori latini, consiste in un laghetto di circa 50 m di diametro nel quale l'acqua grigia e melmosa ribolle non per l'alta temperatura, ma per lo sprigionarsi violento di gas venefici. Intorno al laghetto vi sono altre piccole pozze, banchi di fango e pendii privi di vegetazione ricoperti da cristalli di gesso e zolfo; immediatamente al lato scorre un ruscello, noto come Vallone dei Bagni. 1 rinvenimenti archeologici dimostrano che qui sorgeva il santuario della dea Mefite, il cui culto era diffuso in tutta l'Italia meridionale sin dal VI secolo a.C. Ad esso si sovrappose in seguito la devozione per Santa Felicita, venerata in una chiesa vicina. Vincenzo Maria Santoli, appassionato studioso della storia delle Mefite così scriveva: "fermarsi in questi luoghi non è sicuro per gli uomini, specialmente se soffiano venti". Il luogo è stato da sempre frequentato da curiosi che talvolta sono quivi deceduti, come documentano sin dal XVII secolo i registri parrocchiali di Rocca San Felice. Risale al 21 agosto 1993 l'ultimo decesso di due geologi che hanno perso la vita ignorando la pericolosità del luogo. Nel 1820 il geologo Giovan Battista Brocchi dimostrò che gli effetti venefici erano dovuti all'anidride carbonica scrivendo: "ho computato che l'altezza dello strato di gas acido carbonico sta nel maggiore bulicame di cinque palmi all'incirca (130 cm)... e la mofete è più energica ancora presso la ripa destra del contiguo torrente in luogo perciò chiamato vado mortale". La causa di morte è rappresentata quindi dai gas venefici provenienti dal sottosuolo, più pesanti dell'aria e, perciò, soggetti a ristagnare quando non ci sono venti o quando questi impediscono la loro dispersione. I luoghi più profondi del gran fosso di Mefite ed in particolare l'alveo del torrente nel punto in cui scorre sotto un'alta rupe sovrastante, sono particolarmente pericolosi. I lavori di scavo archeologici effettuati alla fine degli anni Cinquanta, proseguivano solo in presenza di venti che soffiavano dal basso, cioè da ponente: bisognava fuggire appena questi cessavano o quando spirava il vento di tramontana proveniente dalla sovrastante strada statale che comprimeva i gas più pesanti dell'aria nei luoghi più bassi. La gente del luogo ha imparato ad evitare queste micidiali esalazioni e preleva fanghi curativi, immerge le pecore nelle acque della Mefite per combattere gli ectoparassiti con il potere disinfestante dello zolfo, recupera monete e un tempo raccoglieva persino la selvaggina asfissiata per cibarsene. Questi fanghi ribollenti e maleodoranti erano un tempo considerati fenomeni di vulcanesimo secondario. Attualmente si è chiarito che la Mefite non è collegata ad alcuna attività vulcanica o pseudovulcanica, come si pensava nel passato. Nel luogo infatti sono assenti sia accenni di termalità delle acque, che le rocce vulcaniche. Questa formazione gessoso-solfifera ha sicuramente origini evaporitiche. Gli abbondanti depositi di minerali come gesso e zolfo si sarebbero originati nel Miocene (circa 8 milioni di anni fa) per la temporanea chiusura dello Stretto di Gibilterra che comportò un'elevata evaporazione nel Mar Mediterraneo, allora poco profondo, a causa dell'eccessiva temperatura e per lo scarso apporto di acque dolci. A causa dell'elevata evaporazione si ebbe la precipitazione dei sali presenti nelle acque che si depositarono sul fondo formando notevoli stratificazioni gessoso-solfifere. Queste rocce successivamente sprofondarono per motivi tettonici in profondità e furono ricoperte da altri sedimenti più recenti. I gas che con il tempo maturarono all'interno dei complessi evaporitici, rimasero imprigionati in profondità. Solo la forte pressione interna determinò lentamente l'apertura di condotti negli strati sovrastanti, attraverso i quali i gas risalgono in superficie. Qui incontrano acque e fanghi superficiali che di conseguenza ribollono, per effetto della liberazione di anidride carbonica ed idrogeno solforato, quest'ultimo caratterizzato da un mefitico odore di uova marce. Il colore grigiastro dei fanghi è dovuto al gesso (solfato di calcio) che viene ceduto dall'acqua risalita in superficie. Ualto valore di solfati, il basso valore di ioni idrogeno e l'assenza di radicali bicarbonato sarebbero spiegabili con la reazione fra gesso e ioni bicarbonato che formerebbe radicali solfato, ioni idrogeno e calcite. I gas liberati sono: acido solfidrico, anidride carbonica, anidride solforosa e tracce minime di metano ed ammoniaca. Nel territorio della Valle di Ansanto si potrebbe sfruttare anche l'energia geotermica delle sorgenti profonde: proprio nella Mefite è stata scoperta una sorgente con il più alto valore di temperatura profonda, pari a 73°C, che potrebbe essere utilizzata per riscaldare serre. Le vicine acque termali di San Teodoro provengono invece dal vicino bacino dei Picentini e il loro calore è dovuto al normale coefficiente geotermico. La presenza nei fanghi della Mefite dei solfobatteri suggerirebbe una partecipazione microbica all'assetto geomineralogico della valle. In fondo alla pozza, nei fanghi che bollono, pullula la vita: batteri primitivi, gli Archeobatteri, producono energia ossidando zolfo e ferro. I solfobatteri quivi rinvenuti rappresentano l'inizio di una catena alimentare che comprende anche vari gruppi di batteri autotrofi, attinomiceti e particolari specie di alghe verdi. I batteri sono anche responsabili della presenza geomineralogica di solfati, successivamente ridotti ad acido solfidrico. La scoperta dell'alga verde Cyanidium caldarium, normalmente presente in ambienti vulcanici primari e secondari di tutto il mondo, assume particolare importanza perché rappresenta l'unico esempio conosciuto di adattamento dell'alga ad un ambiente di origine non vulcanica, ma pur sempre caratterizzato da zolfo e gessi. La pedofauna nei siti circostanti è quella tipica dei suoli vulcanici, con scarso numero di specie e bassissima densità di esemplari.
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